Dovete sapere che dopo aver realizzato il cortometraggio di Ondevitare (chi non l’avesse visto, può recuperare qui), con tutte le fotografie che riassumono e solidificano alcuni dei momenti più belli dei miei viaggi e che avevo stampato ad hoc per la registrazione del video, sul muro di quella una volta era la mia camera da letto, ma che da quando ho capito che dormire da solo in un letto matrimoniale non è conveniente da un punto di vista di termoregolazione è diventata la camera degli ospiti, ho realizzato un grande cuore.
Ogni volta che mi capita di entrarci, inevitabilmente l’occhio cade su una di esse, su quell’espressione che in quasi tutte quelle foto ho… Un’espressione talvolta incredibilmente felice, incredibilmente soddisfatta della vita che in quel momento stavo vivendo. Un’espressione che da quando ho smesso di viaggiare non mi sono più sentito addosso.
Le analisi
Quest’estate, come già vi ho raccontato, non sono stato molto bene e quando per l’ennesima volta tutte le analisi non hanno dato credito al mio malessere, persino mamma è arrivata a pronunciare una frase che onestamente non mi sarei mai aspettato di sentire da parte sua: te ne devi andare, Kevin, perché non è possibile che da quando sei tornato continui a stare male…
Per quanto non me l’aspettassi, quella frase combaciava esattamente con il chiodo fisso che da qualche settimana si stava infilando sempre più in profondità nella mia testa: se volevo ritrovare quel sorriso, quella felicità, quella spensieratezza l’unica strada era andarsene. Questa volta, forse, definitivamente.
Il concerto
A fine luglio, durante un concerto, ho conosciuto una persona che nel corso delle settimane successive sarebbe diventata davvero speciale per me.
Una persona che per me ha compiuto gesti che nessun altra ragazza, amica, donna aveva mai compiuto per me. Una persona che mi ha fatto sentire amato, coccolato, desiderato. Una persona che ha preso le mie insicurezze, la mia scarsa autostima e la convinzione di non essere chissà che attraente a manganellate. Una persona con cui ho abbattuto tabù e paure che duravano da troppo tempo. Proprio come quello del pianto…
Il film
Era da gennaio 2023 che non piangevo. Se volessi potrei anche dirvi esattamente giorno e ora in cui ho pianto. Questo perché è accaduto tutto dopo aver visto un film, un film che trovo magnifico e che vi invito caldamente a guardare.
Un film che sotto tanti aspetti mi ricordò vividamente della silenziosa relazione tra me e mio padre. E quando sul finale accadde ciò che accadde… la mia reazione emotiva fu totalmente inaspettata ed esplosiva.
Piansi. Piansi disperatamente. Piansi così disperatamente che non riuscivo a fermarmi, che non riuscivo a capacitarmi di non riuscirmi a fermare. E quindi decisi di registrare quei miei singhiozzi, di provare a spiegare ad alta voce a me stesso che cosa stesse accadendo dentro di me, cosa provassi, quali i pensieri... Piansi quasi per un’ora. Poi, da allora, mai più. Non perché non ci siano state occasioni di commozione; anzi, esattamente l’opposto: ve ne sono state tante, ma io sembravo diventato apatico, incapace di empatia.
Almeno sino al mese scorso quando, di punto in bianco, la pioggia è tornata a bagnare il deserto. Ho pianto a lungo, convulsamente. Le braccia di lei a stringermi forte, a rassicurarmi, ad accogliere i fremiti di un cuore che, come il motore stanco di un tosaerba, stava cercando di riavviarsi..
Il matrimonio
Il 5 ottobre scorso, due carissimi amici si sono sposati.
Non poteva essere altrimenti: se penso a che cosa significhi nel mio ideale la parola amore o il verbo amare, è a loro che ho sempre pensato. Perciò, quando a inizio anno mi comunicarono la notizia delle loro nozze, rimasti piuttosto impassibile, poiché me l’aspettavo che presto tardi quel giorno sarebbe arrivato. Non mi aspettavo, però, che sarebbe accaduto tutto ciò che poi è accaduto…
Già al mattino, mentre camminavo verso la chiesa, mi rendevo conto di avere in corpo una felicità strana, non mia, sia nel senso che era da un po’ che non sentivo quel tipo di felicità sia nel senso che letteralmente quella felicità non era mia: era loro, derivava dal percepire empaticamente quanto quel giorno potesse significare per loro due. E se già questo mi aveva piacevolmente stupito, è stato durante la serata danzante che la mia testa non ci ha capito più nulla.
Avevo una voglia matta di ballare, quella che tante altre volte avevo avuto e che tante altre volte non ero riuscito a esprimere, perché troppo occupato a livello mentale a guardarmi intorno se qualche ragazza mi stesse degnando di qualche attenzione. Solo che io in quell’occasione una ragazza (non presente) l’avevo e, forse per questo o forse per motivi che non ho ancora ben compreso, la mia testa si è sentita completamente libera… Libera di andarsene, di prendersi una pausa dall’assillante andirivieni di pensieri, di lasciare che il mio corpo si muovesse per quattro ore senza la minima vergogna in movenze illogiche mai mostrate prima, al punto da faticare in molti momenti a riconoscermi, a capire cosa e come stesse succedendo.
La telefonata
Quando riapro gli occhi l’indomani, dentro alla scatola cranica riecheggiano ancora le musiche, i volti, i sorrisi… Ma soprattutto riappaiono in sequenza tutte quelle sensazioni di serenità e leggerezza che io, proprio io, Kevin, quello che pensa in continuazione, quello consumato dall’ansia, quello dai mille blocchi psicologici ero riuscito a sperimentare. E mentre cerco di raccontarle al telefono con lei, capita qualche cosa di inaudito, di mai accaduto prima. Piango. Piango perché il cuore mi trabocca di gioia. Piango perché ce l’ho fatta, non so bene come, ma ce-l’ho-fatta a sbloccarmi. E se ce l’ho fatta una volta, posso farcela ancora.
Mentre piango, parlo e cammino per la casa, entro nella camera degli ospiti, dove i miei occhi pieni di luce incrociano quelli di chi, una volta, era stato fiero della vita che stava conducendo. No, se volevo ritrovare quel sorriso, quella felicità, quella spensieratezza andarsene non era l’unica strada…
La proposta
Anche perché durante l’ultima presentazione avvenuta venerdì 11 ottobre presso la libreria Ancora di Trento, evento già dal sapore speciale per via del simbolismo ad esso intrinseco (vi ricordo che l’associazione Ondevitare è metaforicamente rappresentata da un vascello), è successo qualcosa di meravigliosamente paranormale.
La libraia, apparentemente colpita dal progetto e dalle sue istanze, udito il mio disappunto nel non essere ancora riuscito a valicare i confini trentini con la mia opera e le sue presentazioni, mi domanda se non ho preso in considerazione l’ipotesi di essere aiutato da una casa editrice.
Spiegatole perché ho scelto la via dell’autopubblicazione - prevalentemente per motivi di maggiore guadagno e maggiore libertà - mi suggerisce di fare comunque un tentativo, giusto per comprendere se le mie sono solo supposizioni infondate o realtà, visto che, anche sul territorio regionale, ci sono a suo dire delle case editrici che lavorano molto bene. Detto ciò, mi lascia quindi il contatto di una di queste…
Volete sapere come si chiama la casa editrice suggerita da una libraia che lavora presso una libreria che si chiama Ancora e che non sa di avere davanti il capitano di un vascello?! Edizioni del Faro…
Il mio futuro più prossimo, quindi, non è assolutamente così scontato come pensavo che fosse. Chissà se sarà il Nepal a sussurrarmi le risposte che cerco...